Label : Solitude Production
Genre : Death Doom Metal
Year : 2012
Sentence : Doom masterpiece of the year [9.0]
In principio c'erano i My Dying Bride. Poi i My Dying hanno tradito il loro sound originario, quello perfettissimo di Turn Loose The Swans per andare su strade sempre più melodiche e gothicheggianti. Ma il Doom non era morto: arrivarono i Mourning Beloveth a risollevare le sorti del di quel tipo di Death Doom. Sempre sospesi tra riff pesantissimi escursioni nel Death metal, growling abissale e armonie raffinatissime di chitarra i Mourning Beloveth hanno sfornato capolavoro dopo capolavoro salvo rimanere con l'ultimo album fermi al 2008. Tuttavia c'era un'altra scena di doom che stava salendo nella seconda metà degli anni 2000, quella francese. Poco nota all'estero probabilmente per lo sciovinismo esasperato dei nostri cugini d'oltralpe andando a scavare tra i gruppi si trovava roba di altissima qualità, soprattutto nel Funeral. Fu così nel mezzo di questa crescente scena francese che gli Inborn Suffering pubblicarono il loro primo disco Wordless Hope nel 2006 sulla label russa Solitude. Un lavoro onesto, che seguiva soprattutto i sopra menzionati Mourning Beloveth, ma era ben lontano dal poter gridare al capolavoro. Invece adesso che i Mourning Beloveth sembrano essere in panciolle sulla loro discografia ecco che nel 2012 gli Iborn Suffering da emulatori diventano i rinnovatori del genere.
Sempre con Solitude fanno uscire Regression Into Nothingness. La proposta è migliorata assai, si ha una sequela di brani lunghissimi e intricassimi assolutamente completi. Nella miscela c'è tutto quello che può servire: ossessività, pesantezza, melodia e devastazione. A convincere tantissimo oltre al riffing ispiratissimo sono le parti vocali figlie della migliore scuola francese (io ravvedo qualche similitudine con lo stile completissimo di Marquis degli Ataraxie e dei Funeralium): si passa dal growling bassissimo al pulito evocativo fino ad arrivare a degli scream lancinanti che fanno mood. Poi anche la batteria è incredibile, dalle parti atmosferiche ai raddoppi increidbili di doppia cassa su canzoni come Born Guilty, Apotheosis dove si raggiungono velocità assai elevete. La violenza sprigionata da certi riff per la loro perfetta registrazione lascia quasi basiti: l'intro di Born Guilt sembra strutturata apposta per far sobbalzare l'ascoltatore sulla sedia, così come la tiratissima Another World, brano più corto del disco. Un disco magnifico che incanta e prende tantissimo proprio per la convivenza perfetta di queste varie anime, tanto che in un solo giorno l'ho ascoltato anche 6-7 volte (e non è che duri mezz'ora). Un disco che sarà destinato a rimanere per anni tra i dischi canonici del Death Doom più melodico e che fa entrare di diritto gli Inborn Suffering tra i grandi del Doom.
[Giorgio Gubbiotti]
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